Apollo

Apollo
"Apollo è la divinità greca che più di ogni altra ha a che fare con i nostri tentativi di collegare il mondo diurno della veglia e quello notturno dei sogni. In breve, come tutti sapete, egli era il dio dell’oracolo di Delfi, il dio delle profezie, della guarigione, dio della giovinezza, dotato di una bellezza radiosa, molto virile, violento, carente nei rapporti con le figure femminili, uccisore di serpenti e mostri, (...) "
James Hillman

Scena del culto di Zeus

Scena del culto di Zeus

Rituale


Rituale

Particolare del Culto di Zeus


Particolare del Culto di Zeus

La bellezza di Venere

Lucio Apuleio, LA FAVOLA DI AMORE E PSICHE

La bellezza di Venere.

"Così gli parlò stringendosi forte al seno quel suo figliuolo e baciandoselo a lungo. Poi si diresse alla spiaggia vicina, là dove batte l’onda, e sfiorando con i rosei piedi le creste spumose dei fervidi flutti, ristette alfine sulla calma superficie del mare; e il mare le rese omaggio, a un suo cenno, com’ella desiderava, come se tutto da tempo fosse già stato voluto: le danzarono intorno le figlie di Nereo cantando in coro, e Portuno con l’ispida barba azzurra e Solacia col grembo colmo di pesci e il piccolo Palemone che cavalcava un delfino. Qua e là fra le onde esultavano a schiera i Tritoni,l uno soffiava dolcemente nella conchiglia sonora, un altro con un velo di seta faceva schermo all’ardore molesto del sole, un terzo sosteneva uno specchio dinanzi agli occhi della dea, gli altri nuotavano a coppie aggiogati al suo cocchio. "Un tal seguito scortava il viaggio di Venere verso l’oceano.

Scomparsa di Amore



Lucio Apuleio,LA FAVOLA DI AMORE E PSICHE
Scomparsa di Amore

"Ma mentre l’anima sua innamorata s’abbandonava a quel piacere la lucerna maligna e invidiosa, quasi volesse toccare e baciare anch’essa quel corpo così bello, lasciò cadere dall’orlo del lucignolo sulla spalla destra del dio una goccia d’olio ardente. Ohimè audace e temeraria lucerna indegna intermediaria d’amore, proprio il dio d’ogni fuoco tu osasti bruciare quando fu certo un amante ad inventarti per godersi più a lungo, anche di notte il suo desiderio. "Balzò su il dio sentendosi scottare e vedendo oltraggiata e tradita la sua fiducia, senza dire parola, d’un volo si sottrasse ai baci e alle carezze dell’infelicissima sposa.

XXIV "Psiche però, nell’attimo in cui egli spiccò il volo, riuscì ad afferrarsi con tutte e due le mani alla sua gamba destra e a restarvi attaccata, inerte peso, compagna del suo altissimo volo fra le nubi, finché, stremata, non si lasciò cadere al suolo. "Ma il dio innamorato non ebbe cuore di lasciarla così distesa a terra e volò su un vicino cipresso e dal ramo più alto con voce grave e turbata così le parlò: "’Oh, troppo ingenua Psiche, mia madre, Venere, mi aveva ordinato di farti innamorare del più abbietto, dell’ultimo degli uomini e a lui darti in isposa; io invece le ho disubbidito e son volato a te per essere io stesso il tuo amante: stata una leggerezza, lo so, e mi sono ferito con il mio stesso dardo, io, famosissimo arciere, e ti ho fatto mia sposa perché tu, pensandomi un mostro, mi troncassi col ferro questo capo che reca due occhi innamorati di te. "’Eppure quante volte ti ho detto di stare in guardia, con che cuore ti ho sempre ammonita. Ma quelle tue brave consigliere presto faranno i conti con me per i loro suggerimenti funesti; quanto a te, basterà la mia fuga a punirti.’ E con queste parole aperse le ali e si levò nel cielo.

Psiche vede Amore

Psiche vede Amore.

XXII "Allora a Psiche vennero meno le forze e l’animo; ma a sostenerla, a ridarle vigore fu il suo stesso implacabile destino: andò a prendere la lucerna, afferrò il rasoio e sentì che il coraggio aveva trasformato la sua natura di donna. "Ma non appena il lume rischiarò l’intimità del letto nuziale, agli occhi di lei apparve la più dolce e la più mite di tutte le fiere, Cupido in carne e ossa, il bellissimo iddio, che soavemente dormiva e dinanzi al quale la stessa luce della lampada brillò più viva e la lama del sacrilego rasoio dette un barbaglio di luce. "A quella visione Psiche, impaurita, fuori di sé sbiancata in viso e tremante, sentì le ginocchia piegarsi e fece per nascondere la lama nel proprio petto, e l’avrebbe certamente fatto se l’arma stessa, quasi inorridendo di un così grave misfatto, sfuggendo a quelle mani temerarie, non fosse andata a cadere lontano. "Eppure, benché spossata e priva di sentimento, a contemplare la meraviglia di quel volto divino, ella sentì rianimarsi. "Vide la testa bionda e la bella chioma stillante ambrosia e il candido collo e le rosee guance, i bei riccioli sparsi sul petto e sulle spalle, al cui abbagliante splendore il lume stesso della lucerna impallidiva; sulle spalle dell’alato iddio il candore smagliante delle penne umide di rugiada e benché l’ali fossero immote, le ultime piume, le più leggere e morbide, vibravano irrequiete come percorse da un palpito. "Tutto il resto del corpo era così liscio e lucente, così bello che Venere non poteva davvero pentirsi d’averlo generato. Ai piedi del letto erano l’arco, la faretra e le frecce, le armi benigne di così grande dio.

XXIII "Psiche non la smetteva più di guardare le armi dello sposo: con insaziabile curiosità le toccava, le ammirava, tolse perfino una freccia dalla faretra per provarne sul pollice l’acutezza ma per la pressione un po’ troppo brusca della mano tremante la punta penetrò in profondità e piccole gocce di roseo sangue apparvero a fior di pelle. Fu così che l’innocente Psiche, senza accorgersene, s’innamorò di Amore. E subito arse di desiderio per lui e gli si abbandonò sopra e con le labbra schiuse per il piacere, di furia, temendo che si destasse, cominciò a baciarlo tutto con baci lunghi e lascivi.

nel disegno: Psiche vede Amore

Psiche incontra il dio Pan.



Psiche incontra il dio Pan.

Da terra ove giaceva, Psiche seguì il volo dello sposo finché poté vederlo e, intanto, si sfogava in gemiti angosciosi; ma quando nel suo rapido volo egli si fu sottratto alla vista di lei, perdendosi lontano nello spazio, ella corse alla riva del fiume più vicino e a capofitto vi si gettò; ma il buon fiume, devoto al dio che suole accendere d’amore anche le acque e temendo per sé, senza farle alcun male la sollevò su un’onda e la depose sulla riva fiorita. "Per fortuna che Pan, il dio dei campi, se ne stava seduto proprio lì, sulla sponda del fiume, con Eco fra le braccia, la dea dei monti e le insegnava a cantare le melodie più varie, mentre le capre, qua e là, lungo la riva saltando, brucavano l’erba che la corrente lambiva "Il dio caprino appena vide Psiche così distrutta e affranta, poiché non era ignaro delle sue sventure, la chiamò dolcemente a sé, confortandola con buone parole: "’Figliola cara,’ cominciò a dirle ‘io non sono che un villano, un rozzo pastore, però di esperienza ne ho tanta dato che sono vecchio ormai. Quindi se vedo chiaro - in fondo in questo consiste, secondo quelli che se ne intendono, l’essere profeti - dal tuo passo vacillante, dal pallore estremo del tuo viso, da quel sospirare continuamente e soprattutto dai tuoi occhi così tristi, devo arguire che un amore violento ti tormenta. Dammi retta, allora, non provarci più a gettarti nel fiume, né cercare la morte in altro modo. Cessa di piangere, scaccia il dolore e mettiti piuttosto a pregare Cupido, il più potente degli dei: giovane, sensibile e vagheggino com’è, lusingalo con dolci voti.’

Lucio Apuleio, LA FAVOLA DI AMORE E PSICHE

nel disegno: Psiche incontra il dio Pan

Eros tra Elpis e Nemesis

Eros tra Elpis e Nemesis

PSICHE



PSICHE rappresentata da Apuleio (nella favola "L'asino d'oro" libro IV, XXXII) come una fanciulla di rara bellezza ("Metamorfosi", IV-VI). Rapita da Zefiro, visse in un palazzo d'oro. Fu amante di Eros, da cui ebbe una figlia (Voluttà). L'amore durò fino a quando Psiche, contravvenendo ad un patto sacro, cercò di scorgere il volto di Eros (invisibile amante). Abbandonata, fu sottoposta a una serie di dure prove da Afrodite, (che invidiava la sua bellezza). Resa immortale da Zeus, mosso a compassione, si unì nuovamente ad Eros. Il mito di Psiche ha ispirato artisti di ogni epoca (Raffaello, Van Dyck, Canova, Gibson, ecc.). Dal significato di Soffio, è l'equivalente del concetto di anima. Secondo alcuni autori antichi l'anima si distingue in anima sensitiva e anima intellettuale; l'anima sensitiva è¨ prerogativa dell'uomo vivo mentre la seconda si forma in punto di morte a somiglianza del defunto dalla cui bocca o ferita mortale esce ed abbandona il corpo. Anche le arti figurative rappresentano l'anima umana sotto forma di un'essere alato o di un'uccello col volto umano. Da queste astrazioni nacque la favola di Psiche e Amore.

nel disegno: Psiche

Era (Hera)

Era (dal greco Hera) antica divinità lunare venerata ad Argo; più tardi, ma molto prima di Omero, considerata regina del cielo. Come tale la si ritenne figlia di Crono e di Rea, sorella quindi di Zeus di cui divenne sposa. Fu madre di Ares, di Efesto, di Ebe. Di matronale bellezza, di impeccabili costumi, proteggeva la castità del matrimonio e la santità del parto. Fu dai Romani assimilata all'italica Giunone. Già in Omero si trasforma in moglie gelosa che perseguitava le amanti di Zeus, orgogliosissima, nemica acerrima dei Troiani a causa del giudizio di Paride.
Le erano sacri il pavone, la cornacchia e la melagrana; aveva come messaggeri Iride e le Ore. Ebbe culto speciale ad Argo Era Argiva, a Samo, nella Magna Grecia e soprattutto sul promontorio Lacinio Era Lacinia.

nel disegno: Era

Il demone meridiano

“Coloro che si addormentano a mezzogiorno rischiano di subire, nel corso di incubi di un genere del tutto particolare, l’aggressione di esseri demoniaci, aggressione che comporta turbe fisiche e mentali ben definite. Queste turbe sono attribuite a Pan e alle Ninfe o ai loro sostituti. Se attribuite a Pan, si ha a che fare con un complesso di sensazioni e rappresentazioni che costituiscono l’incubo propriamente detto, nel senso antico del termine. Se attribuite alle Ninfe e, in epoca ellenistica, a creature che all’origine avevano già per conto loro rapporti stretti con l’ora di mezzogiorno, e che ora assumono caratteristiche simili a quelle delle Ninfe (ossia le Sirene), sembra che ci si trovi piuttosto di fronte a un altro fenomeno onirico (ονειρογμός, somnium Veneris) già definito dagli antichi e dotato di proprie ripercussioni mitologiche. I due temi sono d’altronde pressocchè paralleli, entrambi fortemente tinti di erotismo. Sono in sostanza i corrispondenti antichi delle credenze, quasi universalmente attestate, negli incubi e succubi”.
Roger Caillois, I Demoni meridiani

Selene

SELENE Dea della luna e sorella di Elio. Ebbe delle avventure con Endimione, Pan e con Zeus col quale generò Pandia la lucente, personificazione del chiarore del plenilunio.
Selene si innamorò del pastore Endimione; questi, condannato da Zeus ad un sonno di 30 anni, dormiva in una grotta, e Selene di tanto in tanto abbandonava il cielo per unirsi a lui: in quel periodo (luna nuova) il mondo è privato della luce lunare.

nel disegno: Inno a Selene di Albert Thomas

Abbondanza

ABBONDANZA
Divinità allegorica che avrebbe accompagnato nell'esilio Crono, quando Zeus gli tolse il regno e lo bandì dall'Olimpo. Essa non ebbe mai né templi né altari né culto.
Negli antichi monumenti, essa è raffigurata da una giovane ninfa piuttosto pingue, il volto acceso di vivi colori, la testa cinta di una ghirlanda di fiori e di frutta, reggendo nelle braccia uno dei corni della capra Amaltea, ricolmo di vari prodotti della terra.
Gli scrittori antichi, nel rappresentarla, le fanno sparpagliare con la mano sinistra le spighe, e la vestono d'una tunica verde ricamata in oro.
Il nome greco di questa divinità è da identificare con quello di Eutenia.

Arianna


ARIANNA Figlia di Minosse e sorella del Minotauro e di Fedra. Innamoratasi di Teseo che per liberare la sua città dal mostruoso tributo imposto da Minosse (dovevano ogni anno dare sette fanciulli e sette fanciulle come pasto per il Minotauro) aveva deciso di ucciderlo. Senz'altro sarebbe stato destinato a fallire se non fosse stato aiutato da Arianna che gli avrebbe dato un gomitolo di filo da sbrogliare lungo il tortuoso cammino nel labirinto alla ricerca del Minotauro, incontratolo lo uccise con un colpo di mazza. Teseo così guidato dal filo di Arianna potè facilmente uscire dal labirinto e imbarcarsi per fare ritorno vittorioso ad Atene con Arianna. Sbattuti da una tempesta sull'isola di Nasso, vi sbarcarono e mentre Arianna riposava sull'isola, Teseo nell'intento di assicurare meglio gli ormeggi della nave fu trascinato via dalla tempesta lasciando così la povera Arianna sull'isola. Bacco di ritorno da un giro in India incontrò Arianna a Nasso e innamoratosi di lei la fece sua sposa e la pose per onorarla fra le stelle del cielo.

Pandora

PANDORA
Fu la prima donna creata da Efesto per ordine di Zeus che volendo punire gli uomini per avere ricevuto da Prometeo il fuoco sacro. Gli dèi si misero all'opera e crearono la donna che Ermes chiamò Pandòra, gli diedero un vaso chiuso e la mandarono come dono a Epimeteo fratello di Prometeo. Pandòra aveva avuto l'ordine di non aprire mai il vaso ma la curiosità di vedere cosa c'era dentro era così grande che la donna aprì il vaso facendo così uscire tutti i mali, soltanto Elpis la Speranza restò dentro perché Pandora riuscì a mettere nuovamente il coperchio sul vaso.

Narciso


Narciso
Figlio della ninfa Lirìope e del dio fluviale Cefìso. Ragazzo dalla bellezza indescrivibile. Di lui si innamorò la ninfa Eco, lui non volle corrisponderla e la povera ninfa si ridusse a un'ombra e non rimase altro che la voce. Nemesi la dea che puniva le colpe e le debolezze degli uomini, commossa per la fine della ninfa decise di vendicarla e per fare ciò condusse Narcìso ad una fonte dalle acque limpidissime che rifletterono l'immagine del giovane, il quale vedendo la sua immagine riflessa se
ne innamora e non vuole più lascialrla finché non muore. Fu da Nemesi mutato nell'omonimo fiore che fu poi consacrato alle Erinni.

Marsia

MARSIA Satiro, famoso suonatore di flauto che a quanto pare suonava lo stesso flauto inventato da Atena e che la dea buttò via quando si accorse che suonandolo gli venivano le guance gonfie e modo grottesco. Marsia suonava così bene che tutti dicevano che neanche Apollo con la sua lira avrebbe potuto suonare di meglio. Il dio risentito e offeso in quello che era la sua arte sfida il povero Marsia in una gara musicale dove il vincitore avrebbe potuto punire il vinto nel modo che più gli gradiva. Il satiro ingenuamente accettò la sfida e come era presumibile considerato che a giudicare erano le Muse, che erano legate ad Apollo, Marsia perse. Apollo ancora offeso lo legò ad un albero e lo scorticò.

Orione

ORIONE Viveva a Tanagra un uomo di nome Irieo, che inconsapevolmente ospitò nella sua capanna Zeus, Poseidone ed Ermes. Irieo ospitò molto caldamente i tre viandanti che prima di ripartire gli chiesero quale era il suo più grande desiderio e il vecchio rispose che desiderava un figlio ma considerata la sua età non riusciva a generarlo. Gli Dei presero un'otre e la riempirono della loro orina e ordinarono a Irieo di sotterrarla. Dopo dieci mesi ne venne fuori un gigante che venne chiamato Orione in ricordo di come fu generato. Questo gigante era ritenuto il più bello dei mortali, innamoratosi di Merope, figlia di Enopione che a sua volta era figlio di Dioniso. Orione chiese a Enopione la mano della giovane, che si dimostrò disposto a condizione che egli avesse liberato l'isola dalle belve che la infestavano. Orione da bravo cacciatore non ebbe difficoltà e sterminate le fiere va a chiedere il suo compenso ma Enopione rifiutò di rispettare il patto. Orione incavolato prese un'otre di vino e la bevve per dimenticare, ma ubriacatosi penetrò nella stanza di Merope e la violentò. Enopione allora chiese a Dioniso che era suo padre di vendicarlo, il dio ordinò ai Satiri di ubriacarlo fino a farlo addormentare, allora Enopione lo accecÃò. Un oracolo disse ad Orione che per recuperare la vista se avesse potuto volgere le orbite ad Elio sorgente dall'Oceano. Facendosi guidare da uno dei garzoni di Efesto, un certo Cedalione, giunse sulle rive dell'Oceano e riebbe da Elio la vista. Orione acquistata la vista parte alla ricerca della vendetta, tornato a Chio non trova Enopione che preventivamente si era nascosto in un rifugio fattogli da Efesto. Allora credendo che il suo nemico si fosse nascosto da Minosse, Orione andò a Creta e non trovandolo neanche lì , si mise a cacciare e minacciava di sterminare tutti gli animali, allora Madre Terra per evitare la strage mandò un'enorme Scorpione che lo uccise. Orione data la sua origine divina fu portato in cielo nella omonima costellazione.

Eolo e Borea

EOLO Dio dei Venti, abitava nell'isola di Lipari e teneva chiusi i venti in una caverna.

BOREA Figlio di Astreo e di Eos. Era il vento del nord e re dei venti, fratello di Zefiro, Noto e Apeliote (Euro). Veniva raffigurato come cavallo o come uomo barbuto con i capelli scomposti, alato e con due facce. Sotto la forma di cavallo si godette le cavalle di Eretteo. Borea si godette anche la figlia di Eretteo, Orizia, che rapitala mentre questa giocava sulle rive del torrente Ilisso, la possedette e da lei ebbe due figli Calai e Zete, gemelli alati.

Giasone

GIASONE Figlio di Esone che venne privato dal fratellastro Pelia del trono di Iolco, in Tessaglia. Fu affidato alle cure del centauro Chirone; poi, raggiunta l'età adulta, tornò a reclamare il regno che era stato del padre. Pelia accettò di consegnarglielo a patto che prima portasse a Iolco il vello d'oro, che era in possesso del re Eeteo di Colchide e sorvegliato da un dragone sempre all'erta. Giasone intraprese così la famosa spedizione sulla nave Argo, seguito dal fior fiore della gioventù ellenica, rientrando in patria col vello d'oro e la sposa Medea. Ma intanto Pelia aveva ucciso il padre Esone, per vendicare il quale l'eroe si avvalse delle arti magiche della moglie. Costretta ad abbandonare Iolco, la coppia si stabilì a Corinto dove, dopo dieci anni, Giasone abbandonò Medea per Creusa, figlia di Creonte re della città. La fine dell'eroe è controversa. Alcune fonti riferiscono che morì per il dolore provocato dalla morte dei figli soppressi per vendetta da Medea, altre che rimase ucciso sotto la carena della nave Argo, all'ombra della quale si riposava quando ormai era già rientrato in possesso di Iolco.

Arpie

ARPIE Mostri con testa, busto e braccia di donna e il resto del corpo di uccelli rapaci con ali e artigli. Erano figlie di Taumante e di Elettra. Esse ricorrono anche nella legenda degli Argonauti che le misero in fuga. I loro nomi erano Celeno Oscurità, Ocipete dal volo rapido e Aello apportatrice di tempesta. Il termine Arpia pare provenga dal greco harpazein che significa rapire con impetuosa violenza. La loro residenza fu il giardino delle Esperidi da dove gli Argonauti le fecero fuggire e quindi andarono nelle isole Strofadi. Esse personificavano la morte violenta e trasportavano in volo le anime dei defunti nell'aldilà.

Cibele

CIBELE Altro nome di Rhea, sposa di Crono e quindi madre di Hestia o Vesta, Demetra o Cerere, Hera o Giunone, Hades o Plutone, Poseidone o Nettuno, Zeus o Giove. Personificazione della Madre Terra, protettrice della vegetazione e della agricoltura.Dea della terra feconda, chiamata la Gran Madre degli dei, identificata con Rea, probabilmente di origine frigia. Aveva tanti nomi quanti erano i luoghi nei quali si adorava. Così era detta Pessinunzia, Idea, Dindimea, Berecinzia, dalle città di Pessinunte e Berecinto e dai monti Ida e Dindime, tutti nella Frigia. S'innamorò del pastore Attis e lo tramutò in pino. Il suo culto si diffuse in Grecia e poi a Roma verso la fine del III sec. a.C. I suoi sacerdoti Coribanti e Galli usavano evirarsi per ricordare il gesto dell'infedele Attis, che s'era così punito. Veniva raffigurata come una matrona seduta in trono fra due leoni. A Roma era chiamata Magna Mater Deum Idaea.

ATLANTE

ATLANTE gigante figlio di Giapeto per aver aiutato gli altri giganti nella rivolta contro Zeus, fu condannato a reggere il peso del mondo sulle spalle. Egli possedeva il giardino delle esperidi, dove maturavano i famosi pomi d'oro. Prima che Zeus lo condannasse a quella triste pena, ebbe il tempo di avere una numerosa discendenza. figlie sue furono le Pleiadi avute da Pleione, da Etna ebbe le Iadi, da Esperide le Esperidi.

Caronte

CARONTE figlio di Erebo e della Notte, traghettava le anime dei defunti attraverso l'Acheronte nel Tartaro. Sulla barca di Caronte potevano salire solo coloro che erano stati seppelliti e dovevano pagare un obolo moneta alla portata di tutte le tasche. Da tale leggenda deriva l'usanza degli antichi Greci di porre una moneta nella bocca dei cadaveri.

Euripide, Le tragedie, Bologna 1940, vv. 357-362, p. 142

Oh mi fossero date le parole ed il canto di Orfeo, sì da incantare con essi la figlia di Demetra (Persefone) e il suo sposo! Allora io scenderei a prenderti nell’Ade, e né il cane di Plutone, né il rematore Caronte che trasporta i morti, riuscirebbero a impedire che io riportassi la tua vita al sole. E dunque aspettami là, se mai io muoia, e prepara la casa, certa che ancora vivrai con me.


Pan

PAN
Dio dei pastori e dei greggi. Di Pan ne esistevano diversi, infatti ogni generazione di dei aveva il suo Pan. I Greci per distinguerli li chiamarono in modo diverso in base al loro padre, Ermopan da Ermes, Diopan da Zeus, Titanopan dai Titani. Il più famoso rimane Ermopan, quando Ermes fece il pastore per conto di Driope e innamoratosi di una delle ragazze di questi, la mise incinta. Certamente il nome viene da Paian Pascolare. Pan vagava per monti, valli e boschi, zufolando e seguito da tanti Paniskoi e dalle ninfe. Grande amante del sesso ebbe numerose avventure con diverse ninfe tra le quali Eco ed Eufeme con la quale genera il Sagittario dello zodiaco. Si vantava di avere fatto l'amore con tutte le Menadi. Il suo più grande amore fu rivolto a Selene ma la dea non gradiva quel dio sporco e peloso, allora Pan nascose la sua figura sotto delle pelli bianche e profumate, Selene non riconoscendolo accettò di cavalcarlo e si fece fare tutto quello che a Pan piacque. Pan era un dio bonario che aiutava chiunque avesse bisogno di lui. Insegnò ad Apollo l'arte del vaticinio. Il dio non sopportava di essere disturbato durante il riposo pomeridiano, se ciò avveniva Pan si alzava in piedi ed emetteva degli urli terrificanti tanto da creare il timore panico.
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A PAN
O Musa celebra il figlio diletto di Ermes,
dal piede caprino, bicorne, amante del clamore, che per le valli
folte di alberi si aggira insieme con le ninfe avvezze alla danza:
esse amano calcare le cime delle impervie rupi
invocando Pan, il dio dei pascoli, dall’ abbondante chioma,
irsuto, che regna su tutte le alture nervose
e sulle vette dei monti, e sugli aspri sentieri.
Si aggira da ogni parte tra le folte macchie :
ora è attirato dai lenti ruscelli,
ora invece s’inerpica fra le rupi inaccessibili
salendo alla vetta più alta da cui si scorgono le greggi.
Spesso corre attraverso le grandi montagne biancheggianti,
spesso muove fra le colline, e fa strage di fiere,
scorgendole col suo sguardo acuto; talora, al tramonto, solitario
tornando dalla caccia, suona modulando con la siringa una musica
serena: non riuscirebbe a superarlo nella melodia
l’uccello che tra il fogliame della primavera ricca di fiori
effonde il suo lamento, e intona un canto dolce come il miele.
Con lui allora le ninfe montane dalla limpida voce
girando col rapido batter di piedi presso la sorgente dalla acque cupe
cantano, e l’eco geme intorno alla vetta del monte.
Il dio, movendo da una parte all’altra, talora al centro della danza,
la guida col rapido batter di piedi –sul dorso ha una fulva di pelle
di lince-, esaltandosi nell’animo al limpido canto,
sul molle prato dove il croco, e il giacinto
odoroso, fioriscono mescolandosi innumerevoli all’erba.
Cantano gli dei beati e il vasto Olimpo;
per esempio del rapido Ermes, eminente fra gli altri,
narravano: come egli sia messaggero veloce per tutti gli dei,
e come venne all’Arcadia ricca di fonti, madre di greggi,
là dove ha il suo santuario cillenio.
Colà, pur essendo un dio, pascolava le greggi dal ruvido vello
presso un mortale: poiché lo aveva preso, e fioriva in lui, un desiderio
struggente
di unirsi in amore con una fanciulla dalle belle trecce, figlia di Driope .
E ottenne il florido amplesso; ed ella, nelle sue stanze, generò
a Ermes un figlio diletto, già allora mostruoso a vedersi,
dal piede caprino, bicorne, vociante, dal dolce sorriso.
Diede un balzo e fuggì la nutrice, e abbandonò il fanciullo.
si spaventò, infatti, come vide quel volto ferino e barbuto.
Ma subito il rapido Ermes lo prese fra le braccia ,
accogliendolo: grandemente il dio gioiva nell’animo.
Senza indugio salì alle dimore degl’immortali, dopo aver avvolto il fanciullo
nella folta pelliccia di una lepre montana ;
lo depose al cospetto di Zeus e degli altri immortali,
e presentò suo figlio : si rallegrarono nell’animo tutti
gl’immortali, ma più d’ogni altro il baccheggiante Dioniso;
e lo chiamarono Pan, poiché a tutti l’animo aveva rallegrato.
Cosi ti saluto, signore, e ti rendo propizio col mio canto:
ed io mi ricorderò di te, e di un altro canto ancora.

Inno Omerico A Pan

Muse


MUSE I Romani assimimilarono le Muse con le loro antiche divinità locali chiamate Camene e che erano ninfe delle sorgenti e delle acque venerate presso il boschetto di Porta Capena. Figlie di Zeus e di Mnemosine (che significa Memoria). Il sommo dio si unì per nove notti con la dea figlia di Urano e di Gea. Allo scadere della gestazione la dea partorì (nella Pieria ai piedi dell'Olimpo) nove bimbe: le Muse che presiedevano alla bella arte della musica. Esse erano: Clio ispiratrice della storia, Euterpe la rallegrante, Talia la festosa, Melpomene la cantante, Tersicore che gode della danza, Erato stimolatrice di nostalgie, Urania la celeste, Polinnia la ricca di Inni e Calliope dalla bella voce. Le Muse erano invocate dai poeti come ispiratrici dei loro canti. Chi osava offenderle veniva severamente punito, come le figlie di Pierio, re della Tessaglia. Questi aveva nove figlie che hanno voluto gareggiare con le Muse nel canto e furono mutate, come racconta Ovidio in rauche gazze. Da questo evento le Muse a volte vengono chiamate Pieridi.

Prometeo

PROMETEO Titano figlio di Giapeto e di Climene figlia di Oceano. In origine era solamente un Titano intelligente che riuscì ad ingannare Zeus, ma successivamente fu trasformato nel creatore e salvatore del genere umano mentre Zeus appare come un crudele tiranno. Quando i Titani sfidarono Zeus e vennero da lui imprigionati nel Tartaro, Prometeo che aveva il dono di vedere il futuro, suggerì loro di usare l'astuzia ma i Titani ignorarono il suo consiglio e allora passò dalla parte di Zeus. Dopo la battaglia Prometeo si trova a scontrarsi con Zeus sul problema del genere umano. Per Esiodo fu Prometeo a creare l'uomo con la creta trovata a Panopea, modellando le figure in cui Atena poi soffiava la vita. Essendo Zeus irato col genere umano aveva deciso di distruggerlo e sostituirlo con delle creature migliori e comincia a togliere loro il fuoco e ad affamarli chiedendo loro le parti migliori di cibo nei sacrifici. Nella disputa sorta per stabilire quali parti di toro sacrificare agli dei e quali tenere per sè, Prometeo fu chiamato a fare da arbitro, per cui smembra un toro e ricuce la pelle formando due sacche che riempì con le varie parti dell'animale. Una sacca conteneva la carne ben nascosta sotto lo stomaco e l'altra conteneva invece le ossa nascoste sotto un grosso strato di grasso e presentate le sacche a Zeus gli chiese di scegliere quale volesse e il dio tratto in inganno scelse la sacca col grasso e le ossa che da quel giorno divennero le parti da sacrificare agli Dei. Zeus irato per l'inganno priva gli uomini del fuoco ma Prometeo andrà di nascosto sull'Olimpo e rubò una brace che nascose nel cavo di un fusto di finocchio e che dona agli uommini. Sempre incurante dei castighi di Zeus, Prometeo insegna agli uomini molte arti, fra le quali la metallurgia e tolse agli uomini il potere di vedere il futuro pensando che tale potere avrebbe spezzato il cuore degli uomini. Zeus durante la notte vide la terra coperta da tantissime luci e arrabbiato più che mai manda i suoi servi Bia e Crato assieme a Efesto a catturare Prometeo e a incatenarlo sul monte Caucaso, dove ogni giorno un avvoltoio gli mangiava il fegato, ma considerando che Prometeo era un Titano e perciò immortale, la notte il fegato gli rinasceva per essere rimangiato il giorno successivo. Prometeo anche se incatenato e costretto a subire l'orribile supplizio, scherniva Zeus perchè era conoscenza di un terribile segreto sulla sorte del dio supremo. Dopo tanto tempo ottenne la liberta in cambio del segreto che impedì al dio di sposare Teti, perchè gli avrebbe dato un figlio che sarebbe diventato più potente del padre e l'avrebbe spodestato proprio come fece Zeus col padre Crono. Prometeo era venerato nell'Attica come dio delle arti.

nel disegno: Prometeo

Apollo



APOLLO Senza dubbio dopo Zeus, Apollo è il dio più importante della mitologia greca. Il mito di Apollo è legato a quello di Artemide (sorella gemella di lui) con le differenze sessuali ed ha un carattere parallelo. Latona sedotta da Zeus pellegrina a lungo sulla terra per sfuggire all'ira di Era, nessuno volle ospitarla per timore della vendetta della tremenda dea, finalmente giunse a uno scoglio errante sul mare che la ospita e in prossimità del parto lo scoglio si fissa al fondo marino con delle colonne diventando così l'isola di Delo. Assistita dalla dea Iride Latona partorì i due gemelli Apollo e Artemide dopo un lungo e laborioso travaglio. Le due divinità hanno un che di misterioso e inavvicinabile che incute rispetto, entrambi munite di arco colpiscono da lontano e chi è colpito dai loro dardi muore senza soffrire. Apollo rappresenta l'autocontrollo, l'autoconoscenza e il senso della misura nel suo tempio a Delfi stava scritto Conosci te stesso. Egli si occupa anche delle espiazioni, delle purificazioni, delle guarigioni e tale compito gli rimane anche dopo avere dato le sue proprietà mediche al figlio Asclepio. Apollo è anche un dio profetico e dio del giusto e della purezza ed anche della musica difatti viene rappresentato con la lira a capo delle Muse. Esso venne identificato anche con Elio e veniva immaginato alla guida d'un carro tirato da quattro cavalli e col quale conduceva il Sole per il cielo. Identificato come un giovane bellissimo e nudo. Il centro del suo culto era Delfi dove c'era anche il suo famoso oracolo e dove ogni quattro anni si celebravano in suo onore i giochi pitici. I romani lo venerarono come protettore della salute e come dio della divinazione in suo onore celebravano i giochi detti Ludi Apollinares.
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nel disegno: Apollo e le Muse

Plutone con Proserpina

Plutone con Proserpina

Ipotesi di ricostruzione di una cerimonia ad Eleusi



«Felice colui, tra gli uomini viventi sulla terra, che ha visto queste cose! Chi invece non è stato iniziato ai sacri misteri, chi non ha avuto questa sorte non avrà mai un uguale destino, da morto, nelle umide tenebre marcescenti di laggiù.»
dagli Inni Omerici