Invocazione

Sei stata seminata da Cronos, concepita nel seno di Hera, preservata da ogni male per opera di Ammon, generata da Iside, nutrita da Zeus Pluvio, curata fino alla maturità da Helios e dalla rugiada. Tu sei la rugiada di tutti gli dèi, sei il cuore di Hermes, sei il seme degli dei antichi, sei l'occhio di Helios, sei la luce della Luna, sei la cenere di Osiride, sei la bellezza e il lampo luminoso del Cielo, sei l'anima del demone di Osiride, che va danzando in tutti i luoghi, sei il soffio vitale di Ammon. Come hai innalzato Osiride, allo stesso modo innalzati tu stessa e sorgi, come Helios che sorge ogni giorno. La tua altezza è uguale a quella di Helios allo zenit, le tue radici sono profonde quanto le radici dell'abisso, le tue forze sono nel cuore di Hermes, il tuo stelo e i tuoi rami sono le ossa di Mnévis, i tuoi fiori sono di Horus, il tuo seme è il seme di Pan. Io, io ti lavo da questa pece come lavo gli dèi: sia dunque anche tu purificata dalla mia preghiera per la mia salvezza, e dacci la tua forza come Ares e Atena. Io sono Hermes. Ti colgo con la Buona Fortuna, il Buon Genio, nell'ora fausta, nel giorno fausto, nel giorno in cui tutto deve riuscire. (Papiri Magici Greci - IV, 2978 ss.)

Inno a Pan (Iscrizione di Epidauro)

Inno a Pan (Iscrizione di Epidauro)

Pan che guida le ninfe, amico delle
Naiadi canto, il re delle danze auree,
del canto aereo. Egli dalla siringa
sonora effonde spirito purissimo
,
divino; quindi il vento leggero del
suo canto sospinge sotto gli antri il
suo demone versatile, ed è bello il
danzatore, bello il suo volto che
splende sotto la barba d'oro.
Sull'Olimpo stellante l'eco panica
vola, recando alle divine schiere un
canto immortale. La tua arte si
infonde nella terra, nel mare e tu
sorreggi il mondo o Pan, o grande
Pan!

INNO OMERICO AD AFRODITE

INNO OMERICO AD AFRODITE

In verità, il saggio Zeus rapì il biondo Ganimede

per la sua bellezza, affinché vivesse tra gli immortali

e nella dimora di Zeus versasse da bere agli dei

prodigio a vedersi, onorato da tutti gli immortali.

Attingendo il rosso nettare dal cratere d'oro.

Un dolore inconsolabile invase l'animo di Troo, che non sapeva

dove il turbine divino gli avesse rapito suo figlio:

da allora egli lo piangeva sempre, ininterrottamente.

E Zeus ebbe pietà di lui, e gli diede, in compenso del figlio,

cavalli dal rapido passo di quelli che portano gli immortali.

Questi gli diede perché li tenesse come dono, e ciò ch'era

Accaduto gli espose,

per mandato di Zeus, il messaggero uccisore di Argo:

che il figlio era immortale, e immune da vecchiezza, come gli dei

quando poi egli ebbe udito il messaggio di Zeus

smise di piangere, e si rallegrò nel suo animo:

e lieto si lasciava portare dai cavalli rapidi come la tempesta.

Inno Omerico a Dioniso

Inno Omerico a Dioniso

Omero, Inni omerici


Dioniso, figlio di Semele gloriosa

Io ricorderò: come egli apparve lungo la riva del limpido mare,

su di un promontorio sporgente, simile a un giovanetto

nella prima adolescenza; gli ondeggiavano intorno le belle chiome

scure; sulle spalle vigorose aveva un mantello

purpureo. E presto, nella solida nave,

apparvero veloci, sul cupo mare, pirati

tirreni: li portava la sorte funesta. Essi, al vederlo,

si scambiavano segni fra loro: rapidamente balzarono fuori, e subito

afferrandolo, lo deposero nella loro nave, pieni di gioia nel cuore.

Pensavano infatti ch’egli fosse figlio di re cari a Zeus,

e volevano legarlo con legami indissolubili:

ma i legami non riuscivano a tenerlo, e i vincoli cadevano lontano

dalle sue mani e dai piedi; egli se ne stava seduto e sorrideva,

con gli occhi scuri. Il timoniere, comprendendo,

subito esortò i suoi compagni, e disse:

“Amici, chi è questo dio possente che avete preso, e tentate di legare?

Nemmeno la nave ben costruita riesce a portarlo.

Certo, infatti, egli è Zeus, o Apollo dall’arco d’argento,

o Posidone: poichè non è simile agli uomini mortali,

ma agli dei che abitano le dimore dell’Olimpo.

Suvvia, lasciamolo andare sulla terra nera,

subito; e non mettete le mani su di lui, che egli, adirato,

non scateni venti furiosi, e grande tempesta”.

Così parlava, e il capo inveì contro di lui con parole di scherno:

“Sciagurato, bada al vento, e spiega con me la vela dellanave

Manovrando tutti i cavi: a costui penseranno gli uomini.

Io prevedo che egli verrà fino all’Egitto, o a Cipro,

o fra gl’Iperborei, o più lontano, ma infine

una buona volta ci rivelerà i suoi amici e tutte le ricchezze

e i suoi parenti; poichè un dio ce lo ha mandato”.

Così dicendo issava l’albero e la vela della nave;

il vento soffiò in piena vela, e i marinai, dai due lati,

tendevano i cavi. Ma ben presto apparvero loro fatti prodigiosi.

Dapprima, sulla veloce nave nera, gorgogliava

vino dolce a bersi, profumato, da cui si effondeva un aroma

soprannaturale: stupore prese tutti i marinai, quando lo videro.

Subito dopo si distesero lungo il bordo superiore della vela

Tralci di vite, da una parte all’altra, e ne pendevano abbondanti

Grappoli; intorno all’albero si avviticchiava una nera edera,

ricca di fiori, su cui crescevano amabili frutti;

e tutti gli scalmi erano inghirlandati. Essi allora, vedendo queste cose,

ordinavano al timoniere di guidare a terra la nave.

Ma il dio, sotto i loro occhi, nella nave, si trasformò in un leone

dallo sguardo pauroso e bieco: essi fuggirono a poppa

e intorno al timoniere dall’animo saggio

si fermarono attoniti: il dio, d’improvviso balzando,

ghermì il capo; e gli altri, evitando la sorte funesta,

come videro, si gettarono fuori tutti insieme, nel mare divino,

e diventarono delfini. Ma il dio ebbe pietà del timoniere:

lo trattenne, e gli concesse prospera sorte: e così gli disse:

“Coraggio, nobile vecchio, caro al mio cuore;

io sono Dioniso dagli alti clamori, che generò la madre

Semele, figlia di Cadmo, unendosi in amore con Zeus”.

Salve, o figlio di Semele dal bel volto: non è possibile,

per chi si dimentica di te, comporre un dolce canto.

OVIDIO, Fasti, Pan

OVIDIO, Fasti, Pan

Alla terza aurora dopo le Idi fanno la loro comparsa i nudi Luperici e si celebrano i riti in onore di Fauno bicorne. Ditemi, Pieridi, quale sia l’origine di questo rito, da quale paese esso è venuto prima di essere accolto dalle popolazioni del Lazio. Si racconta che gli antichi Arcadi adorassero Pan, dio delle greggi. Lui prediligeva le montagne dell’Arcadia: né è testimone il Foloe, ne sono testimoni le acque dello Stinfale, il Ladone che con la sua veloce corrente si dirige in direzione del mare, la foresta del Nonacre con le sue cime circondate di pini, l’alto Tricrene e le nevi della Parrasia. Pan in questi luoghi era il dio degli armenti, il dio delle cavalle, a Pan si recavano offerte per la protezione delle greggi. Evandro portò con se in esilio questo dio silvestre. Qui dove ora c’è l’Urbe, allora c’era solo l’area su cui sarebbe sorta la città. E’ per questo che veneriamo il dio con cerimonie importate dai Pelasgi. Ad esse, secondo l’antica usanza, partecipava il flamine Diale. Mi chiedi ora perché corrano e perché tolta la veste i loro corpi restino nudi? E’ il dio stesso che ama correre velocemente sulle cime delle montagne e che intraprende fughe improvvise. E’ il dio stesso che è nudo e che comanda ai suoi adepti di correre nudi; la veste del resto, non è certo adatta alla corsa.

INNI OMERICI, A PAN

INNI OMERICI, A PAN

O Musa celebra il figlio diletto di Ermes,

dal piede caprino, bicorne, amante del clamore, che per le valli

folte di alberi si aggira insieme con le ninfe avvezze alla danza:

esse amano calcare le cime delle impervie rupi

invocando Pan, il dio dei pascoli, dall’ abbondante chioma,

irsuto, che regna su tutte le alture nervose

e sulle vette dei monti, e sugli aspri sentieri.

Si aggira da ogni parte tra le folte macchie :

ora è attirato dai lenti ruscelli,

ora invece s’inerpica fra le rupi inaccessibili

salendo alla vetta più alta da cui si scorgono le greggi.

Spesso corre attraverso le grandi montagne biancheggianti,

spesso muove fra le colline, e fa strage di fiere,

scorgendole col suo sguardo acuto; talora, al tramonto, solitario

tornando dalla caccia, suona modulando con la siringa una musica

serena: non riuscirebbe a superarlo nella melodia

l’uccello che tra il fogliame della primavera ricca di fiori

effonde il suo lamento, e intona un canto dolce come il miele.

Con lui allora le ninfe montane dalla limpida voce

girando col rapido batter di piedi presso la sorgente dalla acque cupe

cantano, e l’eco geme intorno alla vetta del monte.

Il dio, movendo da una parte all’altra, talora al centro della danza,

la guida col rapido batter di piedi –sul dorso ha una fulva di pelle

di lince-, esaltandosi nell’animo al limpido canto,

sul molle prato dove il croco, e il giacinto

odoroso, fioriscono mescolandosi innumerevoli all’erba.

Cantano gli dei beati e il vasto Olimpo;

per esempio del rapido Ermes, eminente fra gli altri,

narravano: come egli sia messaggero veloce per tutti gli dei,

e come venne all’Arcadia ricca di fonti, madre di greggi,

là dove ha il suo santuario cillenio.

Colà, pur essendo un dio, pascolava le greggi dal ruvido vello

presso un mortale: poiché lo aveva preso, e fioriva in lui, un desiderio

struggente

di unirsi in amore con una fanciulla dalle belle trecce, figlia di Driope .

E ottenne il florido amplesso; ed ella, nelle sue stanze, generò

a Ermes un figlio diletto, già allora mostruoso a vedersi,

dal piede caprino, bicorne, vociante, dal dolce sorriso.

Diede un balzo e fuggì la nutrice, e abbandonò il fanciullo.

si spaventò, infatti, come vide quel volto ferino e barbuto.

Ma subito il rapido Ermes lo prese fra le braccia ,

accogliendolo: grandemente il dio gioiva nell’animo.

Senza indugio salì alle dimore degl’immortali, dopo aver avvolto il fanciullo

nella folta pelliccia di una lepre montana ;

lo depose al cospetto di Zeus e degli altri immortali,

e presentò suo figlio : si rallegrarono nell’animo tutti

gl’immortali, ma più d’ogni altro il baccheggiante Dioniso;

e lo chiamarono Pan, poiché a tutti l’animo aveva rallegrato.

Cosi ti saluto, signore, e ti rendo propizio col mio canto:

ed io mi ricorderò di te, e di un altro canto ancora.

Ambròsia

Ambròsia
Cibo degli dei, come il nettare ne era la bevanda; conservava loro l’immortalità e l’eterna giovinezza. Con tale nome OMERO chiama anche un unguento divino che aveva il potere di risanare le ferite. L’a. si trovava nell’orto delle Esperidi, ed erano le colombe a portarla in volo agli dei. Per alcuni autori, come ALCMANE e SAFFO, l’a. era bevanda e il nettare invece cibo.

Alséidi

Alséidi
Ninfe dei boschi, le quali talvolta spaventavano i viandanti che attraversavano le foreste (dal greco disos = bosco).

Amaltea

Amaltea
Nome della capra che al-lattò Zeus, quando ancora infante venne dalla madre Rea affidato alle cure delle ninfe Melissa o Ida e Adrastea, per sottrarlo alla voracità di Crono. Secondo una leggenda A. sarebbe stata la ninfa che fece allattare il nume da una capra.
OVIDIO (Fasti, V, 115 e segg.) e con lui altri autori posteriori, danno invece la seguente inter-pretazione del mito:
Si racconta che la Naiade Amaltea, che l’Ida di Creta rese famosa, occultasse Zeus nelle selve. Amaltea possedeva una bella capra, madre di due capretti, la quale costituiva l’ornamento delle mandre di Ditte (città dell’isota di Greta) per le superbe corna ricurve all’indietro, e per le mammelle, degne della nutrice di Zeus. La superba bestia allattava il dio, ma spezzatosi un corno urtando contro un albero, perse metà della sua bellezza.
Il corno fu raccolto dalla ninfa che, ornatolo con fresche erbe e colmatolo di frutta, lo porse a Zeus. Questi, quando divenne re del cielo e occupò il trono paterno e nessuno era piò potente di lui, pose la nutrice fra le costellazioni e rese fecondo il suo corno che, ancora oggi, porta il nome di chi ne ebbe ornata la fronte.

Amadriadi

Amadriadi
Ninfe delle foreste e dei boschi, la cui esistenza era legata alla vita delle piante, particolarmente a quella delle querce, con le quali esse nascevano e con le quali morivano, a differenza della Driadi, che erano immortali. Grate a chi risparmiava le piante, punivano severamente chi invece le abbatteva e le danneggiava, accorciando la loro vita.

Altémene

Altémene
Figlio di Catreo (o Cra-teo). Poiché l’oracolo aveva predetto al padre che sarebbe stato ucciso da uno dei suoi figli, A., unico maschio, dopo aver dato in moglie le proprie sorelle a principi stranieri, andò volontariamente in esilio per evitare che la predizione si avverasse. Ma Crateo, mal sopportando la lontananza del figlio, si imbarcò e parti alla sua ricerca. Nelle sue peregrinazioni approdò all’isola di Rodi, dove A. viveva, e qui fu ridotto in fin di vita da una freccia lanciatagli dal figlio che lo aveva scambiato per un nemico. Accortosi dell’errore, A., disperato, pregò gli dei affinché la terra gli si aprisse sotto i piedi e lo inghiottisse, e fu esaudito.

Altea

Altea
Figlia di Testio e di Euritemi, sposò Oeneo, re di Calidone, e da lui ebbe Tideo, Deianira e Meleagro. Quando quest’ultimo nacque, le Moirai posarono un tizzone acceso sul focolare di A., dicendo alla donna che il piccino sarebbe vissuto finché quel tizzone non si fosse consumato. La madre si affrettò a togliere dalle fiamme il pezzo di legno acceso, e, dopo averlo spento, lo custodi gelosamente. Meleagro era già giovinetto quando, un giorno, si dimenticò di sacrificare ad Artemide (altri dicono che sia stato il padre a trascurare il sacrificio) e la dea, indispettita, inviò in Calidonia un enorme e selvaggio cinghiale che prese a devastare il paese.
Alcuni principi greci, e fra questi Meleagro e i suoi zii materni, si accordarono per uccidere il cinghiale. Una giovinetta, Atalanta, fu la prima a colpire la fiera, e perciò a lei Meleagro offri la pelle e la testa del cinghiale ucciso. Di ciò si offesero i fratelli di A.; ne nacque una lite, e Meleagro, in un impeto di ira, uccise gli zii. A. quando conobbe la tragica fine dei suoi fratelli, fu colta da disperazione, e dopo una lunga e dolorosa lotta interna fra l’amore materno e il desiderio di vendicare i propri congiunti, gettò sul fuoco il fatale tizzone al quale era legato il destino del figlio, e lasciò che vi si consumasse. Più tardi A., lacerata dal rimorso, si uccise.

Anteros

Anteros
Dio dell’amore reciproco, figlio di Ares e di Afrodite. Alcuni autori considerano A. il dio che si oppone agli amori contro natura, altri il vendicatore dell’amore disprezzato, altri infine il dio dell’amore volubile. Aveva altari in molte città della Grecia.

Anticlea

Anticlea
Figlia di Autolico, moglie di Laerte e madre di Ulisse. Parecchi autori con-cordano però nell’affermare che padre di Ulisse fu Sisifo figlio di Eolo, il quale, adirato per i con-tinui furti di bestiame operati da Autolico, ne violentò la figlia mandandola sposa già incinta di Ulisse a Laerte. Secondo alcuni A. si uccise quando le pervenne la falsa notizia della morte del figlio;
secondo OMERO (Odissea, XI, 261-264) invece mori di dolore:
ma il desio di vederti, ma l’affanno
della tua lontananza, ma i gentili
modi e costumi tuoi, nobile Ulisse,
la vita un di si dolce hannomi tolta.

Antifate

Antifate
Re dei Lestrigoni, giganti antropofagi di cui parla OMERO (Odissea, X). Divorò uno dei compagni di Ulisse e, con l’aiuto dei suoi sudditi, fece affondare molte navi della flotta dell’eroe, colpendole con enormi massi.

Antestérie

Antestérie
Feste ateniesi in onore di Dioniso e dei morti, che si celebravano nei giorni i 11, 12 e 13 del mese di Antesterione (febbraio-marzo). Nel primo giorno si aprivano le botti del vino; nel se-condo si faceva a gara a chi ne beveva di più, e il vincitore era incoronato di edera; il terzo giorno era dedicato a gite in campagna, e si esponevano pentole colme di legumi che dovevano servir di cibo alle anime dei defunti, le quali, secondo la credenza, vagavano quel giorno sulla terra. Durante il periodo delle A. erano i padroni a servire gli schiavi.

Antigone

Antigone
Figlia di Edipo e di Giocasta. Creatura dolcissima nella sua pietà filiale e nello spirito di sacrificio costantemente celebrato dal mito che di lei parla. Accompagnò il padre cieco e mendico fino a Colono e tornata poi con Ismene a Tebe, nonostante la proibizione di Creon-te, re di Tebe e suo zio, volle dare sepoltura al cadavere del fratello Polinice.
Condannata per la sua disobbedienza ad essere sepolta viva preferi strangolarsi. Fu amata da Emone. Altri nar-rano che Creonte aveva ordinato ad Emone di eseguire la condanna a morte di A., ma il giovane, che l’amava da molto tempo, la fece nascondere presso alcuni pastori, ed in seguito ebbe da lei un figlio (Meone od Eone), il quale, cresciuto in età, si distinse nei pubblici giochi. In tale occasione Creonte rintracciò A. e la fece seppellire viva, ed Emone, per il dolore, si uccise sulla tomba di lei.
SOFOCLE: Antigone; Edipo a cotono; STAZIO: Tebaide, XII; SENECA: Le
Fenicie; L. ALEMANNI: Antigone; P. METASTASIO: Antigone; v. ALFIERI:
Antigone; Polinice; G. CARDUCCI: Odi barbare: Presso l’urna di Percy
Bysshe Shelley .

Antiloco

Antiloco
Figlio di Nestore e di Euri-dice, era amico affezionatissimo di Achille, oltreché valoroso guerriero ed atleta. Fu ucciso da Memnone nell’eroico tentativo di salvare il padre. Ebbe sepoltura sotto lo stesso tumulo con Achille e Patroclo.
OMERO: Iliade, Iv, Xv, xvii, xvii, xxii.

Ànnio o Ànio

Ànnio o Ànio
Re di Delo e gran sacerdote di Apollo. Aveva quattro figlie alle quali Dioniso aveva accordato il potere di mutare in vino, biada e olio tutto ciò che toccavano, e, rac-conta OVIDIO Metamorfosi, XIII, 654-674):
quel dono le arricchiva. Ma quando ciò seppe l’Atride distruttore di Troia, strappò dal grembo del padre le figlie che malvolentieri lo seguirono, e comandò loro che nutrissero l’esercito greco con il dono celeste. Fugge ognuna dove può; due ncll’Eubea, le altre presso il fratello Andro. Il nemico le raggiunge e minaccia la guerra se non si restituiscono le fanciulle. La paura vince la pietà, e il fratello abbandona le sorelle, ma gli si può perdonare per il suo terrore: non c’erano né Enea né Ettore che potessero difendere Andro. Ormai le catene erano pronte per loro. Esse, alzando le braccia ancora libere al cielo: «Aiuto, padre Dioniso! >, dissero, e il benefattore concesse il suo aiuto, se può considerarsi aiuto l’uccidere in strana maniera. Non si è mai saputo come perdessero la forma umana, è nota sol-anto la loro grande sventura: presero le penne e divennero bianche colombe.

Anigridi

Anigridi
Ninfe che abitavano presso il fiume Anigro, nell’Elide. Avevano il potere di conferire proprietà terapeutiche alle acque del fiume, che erano state infettate dai Centauri, dopo che questi vi avevano lavato le ferite ricevute dalle frecce avvelenate di Eracle.