Giunone

Giunone
Figlia di Saturno e di Rea, moglie di Giove. Era la più potente delle dee dell’Olimpo, soggetta al solo Giove. Insieme ad Apollo e Nettuno tentò una volta di sbalzano dal trono, ma non riuscì nell’intento e fu per un certo periodo incatenata e sospesa alla volta celeste. Nell’Iliade Giove le ricorda in tono di minaccia l’episodio durante uno dei litigi che frequentemente si accendevano fra i due sommi numi. Era di indole superba, gelosa e vendicativa. Durante la guerra troiana fu dalla parte dei Greci, perchè offesa dal giudizio di Paride che a lei, la grande dea signora dell’Olimpo, aveva preferito Venere e i suoi doni.

Giuramento

Giuramento
il giuramento in Omero è fatto in varie maniere, ma il più solenne e il più sicuro è quello sullo Stige, che è considerato il grande giuramento assolutamente inviolabile, che vincola anche gli dei stessi. Anzi questa forma di giuramento è quella tipica degli immortali.
Il giuramento accompagna in Omero le operazioni più solenni ed impegnative come la stipulazione di patti. Spesso in queste occasioni il giuramento è accompagnato da un sacrificio cruento agli dei chiamati a testimoni dal giurante. L’animale sacrificato in questa occasione non era consumato, come di consueto, dai presenti, ma sepolto o gettato in mare.

Cocchio

Cocchio
Carro da battaglia sul quale combattevano i principali guerrieri omerici e che era trainato da due cavalli. Al fondo della cassa di legno del carro era fissata una sala a due ruote assai alte. Sul davanti il cocchio era protetto da una spalliera che giungeva sino alle ginocchia dei guerrieri ed ai fianchi correvano analoghi ripari. In battaglia il carro era occupato da due guerrieri dei quali uno soltanto combatteva, mentre l’altro guidava i cavalli.

Calidonio

Calidonio
Cinghiale. Feroce animale di straordinarie dimensioni e di forza sovrumana, che Diana inviò ad infestare la regione intorno a Calidono, perchò adirata contro Eneo, re di quella città, che in un sacrificio a tutti gli dei aveva omesso di tributarle onore. Alla difficile e pericolosa caccia della terribile fiera parteciparono i più forti guerrieri di tutta la Grecia, quegli stessi che in gran parte troviamo ricordati fra gli Argoaauti. Infine dopo innumerevoli peripezie l’animale fu ucciso da Meleagro, uno dei figli di Eneo.

Caicante

Caicante
Figlio di Testore, celeberrimo indovino a cui, dice Omero, eran note le cose presenti, passate e future. Era l’indovino dell’esercito che al seguito di Agamennone andò ad assediare Troia. Numerose sono le suo profezie ricordate da Omero; celebre fra tutte quella sulla durata e sull’esito della guerra di Troia pronunciata in base ad un prodigio al momento della partenza dalla Grecia. Notissimo pure il suo intervento in Aulide che provocò il sacrificio di Ifigenia. Solenne è la presentazione della sua figura nell’assemblea dell’esercito greco con cui si apre l’Iliade, nella quale egli si alzò a rivelare il motivo della terribile pestilenza che infieriva nel campo greco: l’ira di Apollo.

Cadmo

Cadmo
Principe fenicio, fratello di Europa; venne in Grecia per ricercare la sorella rapita da Giove e si fermò nella Beozia, dove fondò la città di Tebe. Qui un drago colossale gli divorò tutti i compagni; Cadmo riuscì però ad ucciderlo dopo una lotta terribile e ne seminò i denti nel terreno. Da questi nacquero numerosi guerrieri tutti armati, che si azzuffarono fra di loro; solo cinque rimasero in vita. (Essi furono i compagni di Cadmo nella costruzione di Tebe. Il principe regnò felicemente per molti anni sinchè, presago delle sventure che attendevano la sua stirpe, andò volontariamente in esilio; finì i suoi giorni trasformato in drago. A lui è attribuita l’introduzione in Grecia dell’alfabeto.

Bellerofonte

Bellerofonte
Figlio di Glauco re di Corinto e nipote di Sisifo. Fu un valentissimo cavaliere e un intrepido combattente. Per ordine del re della Lidia Giobate, compì straordinarie imprese, prima fra tutte l’uccisione della Chimera, terribile mostro vomitante fuoco. Bellerofonte, grazie al cavallo alato Pegaso nato dal sangue di Medusa e da lui domato, aggredì il mostro dall’alto e lo colpì mortalmente colla lancia. Pegaso fu erò la sua rovina; difatti volle su di esso tentare la scalata all’Olimpo. Giove gli mandò contro un tafano che punse il focoso destriero. Pegaso si impennò e disarcionò lo sfortunato cavalière, che precipitò al suolo.
Il suo vero nome era Ipponoo, ma fu sempre designato col soprannome di Bellerofonte, per aver ucciso un corinzio di nome Bellero. Per questo delitto riparò in Argo presso il re Preto. Calunniato da Antea, figlia del re della Licia Giobate e moglie di Preto, fu inviato al re della Licia, latore egli stesso di una lettera che conteneva la richiesta di metterlo a morte. Giobate, per non macchiarsi del sangue di un ospite, gli affidò imprese quanto mai pericolose dalle quali era certo che non avrebbe fatto ritorno. Ma l’eroe superò ogni prova, prima fra tutte l’uccisione della Chimera, che Bellerofonte, grazie al cavallo alato Pegaso da lui domato aggredì dall’alto e colpì mortalmente colla lancia. A questo punto Giobate, persuaso che Bellerofonte aveva potuto superare simili prove solo perchè favorito dagli dei, cambiò radicalmente opinione e gli diede in moglie la figlia Filonoe. Così Bellerofonte regnò a lungo sui Lici, ma il cavallo Pegaso finì di provocare la sua rovina. Difatti l’eroe, insuperbitosi, volle tentare su di esso la scalata all’Olimpo. Giove gli mandò contro un tafano che punse il focoso destriero. Pegaso si impennò e disarcionò lo sfortunato cavaliere che precipitò al suolo. Questa la fine dell’eroe secondo la forma ultima del mito. Nell’Iliade si dice semplicemente che egli venne in odio agli dei e fu costretto ad andarsene errando solo, vecchio e triste nel campo Aleio privo di ogni conforto. Omero lo dice padre di Isandro, Ippoloco e Laodamia. Laodamia fu la madre di Sarpedonte; Ippoloco padre di Glauco.

Aiace

Aiace
Figlio di Oileo; re di Locri. Partecipò con quaranta navi alla guerra di Troia. Durante l’assedio fu uno dei più forti guerrieri greci e fece prodigi di valore insieme all’altro Aiace figlio di Telamone nella battaglia attorno alle navi durante l’assenza di Achille. Era abilissimo nel tirar d’arco e velocissimo nella corsa. Dopo la caduta della città nemica fece oltraggio a Cassandra nel tempio di Atena. che, irata, sommerse la sua flotta durante il ritorno. Egli stesso peri nel naufragio.
Figlio di Telamone, re di Salamina; fu dopo Achille il più forte dei guerrieri greci nella guerra di Troia. Egli fece prodigi di valore; neppure Ettore riuscì a vincerlo in battaglia. I due campioni lottarono con pari fortuna in -un accanito duello che fu interrotto dal sopraggiungere dell’oscurità. Dopo la morte di Achille, Aiace pretese che le armi del .Pelide passassero a lui, come al più forte dei Greci, ma nella votazione gli fu preferito Ulisse. Aiace si dolse talmente della cosa che impazzì e si trafisse colla spada avuta in dono da (Ettore dopo il duello famoso terminato senza vinto e senza vincitore. Tanta fu poi la sua acredine contro Ulisse, che non lo degnò di una parola, quando il Laerziade scese nell’Ade ad interrogare l’anima di Tiresia.

Agenore

Agenore
Troiano, figlio di Antenore, più volte ricordato nell’Iliade come uno dei più forti guerrieri. Mentre Achille inseguiva i Troiani in fuga verso la città, egli, vistasi tagliata la ritirata, non esitò ad affrontare il Pelide. Certamente sarebbe morto in questa occasione, se Apollo, presone l’aspetto, non avesse attratto su di sè l’assalto di Achille.

Afaridi

Afaridi
I due fratelli Ida e Linceo, figli di Afareo, famosi per la loro contesa con i Dioscuri, nella quale Ida uccise Castore e Polluce Linceo. Ida è pure ricordato come uno dei costruttori della nave Argo e Linceo, celebre per la sua vista acutissima, come il nocchiero della stessa nave durante il viaggio di ritorno degli Argonauti.

Afareo

Afareo
Uno dei più antichi eroi del Peloponneso che nel mito è detto figlio di Periere e fratello di Leucippo.
Afareo è noto sopratutto come padre di Ida e di Linceo, i famosi Afaridi che vennero a contesa con i Dioscuri.
Figlio di Caletore, guerriero greco ucciso in battaglia da Enea.

Aedo

Aedo
Omero presenta in diversi luoghi dell’Odissea ritratti di cantori che, durante i banchetti, rallegravano i convitati cantando sulla cetra imprese memorabili di dei e di eroi. Questi poeti cantori o aedi vivevano largendo i loro canti nelle varie corti e, la loro vita errabonda, sostava quando la munificenza di un signore li accoglieva e li tratteneva, così come è detto nell’Odissea per Femio e per Demodoco. La tradizione vuole che Omero stesso fosse un aedo.

Adrasto

Adrasto
Re di Argo; fu uno dei principi che parteciparono alla spedizione dei sette contro Tebe per sostenere i diritti di Polinice su quella città. Dalla guerra egli solo ritornò in patria e mise insieme un nuovo esercito che, dieci anni dopo, guidato dai figli degli eroi caduti nella prima spedizione, prese finalmente la città. Tutti questi principi noti col nome di Epigoni, uscirono salvi dalla guerra. Perì il solo Egialeo figlio di Adrasto, che ne morì di dolore.
—Troiano, ucciso in battaglia da Patroclo.

Admeto

Admeto
Figlio di Ferete, marito di Alcesti e padre di Eumelo; re di Fere in Tessaglia. Accolse nelle sue case Apollo, condannato per un anno a vivere come un comune mortale. Per ricompensarlo il dio ottenne dalla Morte la salvezza per lui, destinato a morir giovanissimo, a patto che un’altra persona fosse disposta a perire per lui. La moglie Alcesti si sacrificò per la salvezza del marito, ma Ercole, sopraggiunto, la strappò all’Ade. Admeto partecipò pure alla spedizione degli Argonauti e alla caccia del cinghiale calidonio

Acrisio

Acrisio
Discendente di Danao, re di Argo. Sua figlia Danae ebbe da Giove un figlio: Perseo che Acrisio, per sfuggire al destino vaticinatogli, fece rinchiudere con la madre in un’arca che ‘abbandonò in mare. I due giunsero tuttavia sani e salvi all’isola di Serifo delle Cicladi ed Acrisio morì poi, come l’oracolo gli aveva predetto, ucciso per un tragico errore, dal nipote Perseo.

Achille

Achille
Figlio di Peleo e di Teti; fu il più forte degli eroi greci andati ad assediare Troia. Si narra che la madre lo immergesse ancora bambino nelle acque dello Stige, che avevano la virtù di rendere invulnerabile. Senonchè Teti lo tenne sospeso per un tallone, che fu l’unica parte del suo corpo su cui potessero aver effetto i colpi nemici. Giovinetto fu affidato ai saggio centauro Chirone, che lo ammaestrò in ogni disciplina.
Il suo intervento alla guerra di Troia era considerato indispensabile dai Greci, ma Teti presaga del crudele destino del figlio, si affrettò a nasconderlo e ad avvolgerlo in vesti femminili. Le precauzioni della dea tuttavia riuscirono vane per la grande astuzia di Ulisse che seppe scoprire l’eroe e condurlo a Troia. Qui fu il più formidabile dei guerrieri; l’Iliade ò piena delle sue imprese, dalla sua ira impetuosa contro il re dei re Agamennone, alla sua astensione dalla battaglia, alla riconciliazione con l’Atride, al dolore senza fine per la morte dell’amico carissimo Patroclo, all’uccisione in duello di Ettore. Dopo tante imprese, dopo ineguagliabili prove di valore, morì sotto le mura di Troia, colpito al tallone, unica parte vulnerabile del suo corpo, da una freccia partita dall’arco di Paride.

Acheronte

Acheronte
Figlio del Sole e della Terra, fu mutate in fiume e sprofondato negli Inferi, per aver dato dell’acqua ai Titani in lotta con Giove. E’ il principale dei quattro fiumi infernali; nelle sue acque confluiscono il Cocito e il Flegetonte. Le acque dell’Acheronte (fiume degli affanni) sono amarissime, torbide, vorticose e hanno la proprietà di dissolvere ogni metallo. Era la corrente che le anime dovevano varcare sulla barca di Caronte, per giungere nelle regioni dei morti.

Acheloo

Acheloo
Fiume della Grecia che attraversa l’Etolia e l’Acarnania. il dio del fiume, figlio dell’Oceano e di Teti, era il promesso sposo di Deianira, figlia di Eneo re di Calidonia, per la quale lottò con Ercole che lo vinse nonostante le sue molteplici trasformazioni prima in uomo, poi in serpente e infine in toro. Durante la lotta un suo corno cadde sul terreno e le Ninfe Naiadi lo riempirono di fieri e di frutta. Di qui, seconde una versione del mito, ebbe origine il corno dell’abbondanza o cornucopia.

Miti greci - lettera A

Abante — Troiano, figlio di Euridamante; morì nella guerra di Troia per mano di Diomede.
Abanti — Popolazione dell’Eubea.
Abarbarea — Ninfa Naiade, ricordata da Omero come sposa di Bucolione e madre dei due gemelli Esepo e Pedaso, che morirono in combattimento davanti a Troia per mano di Eurialo.
Abido — Città della Troade sulla costa dell’Ellesponto.
Abbi — Popolo nomade che vivòva nelle regioni della Scizia. Omero lo dice il più giusto dei popoli.
Abiero Troiano ucciso in battaglia da Antiloco.
Acaba — Regione montuosa del Peloponneso settentrionale, la cui popolazione conservò, sino all’età storica, il nome omerico di Achei.
Acarnania — Regione della Grecia settentrionale sulla costa del mar Ionio, ad occidente dell’Etolia. I suoi abitanti non sono ricordati fra i popoli che parteciparono alla guerra di Troia.
Acasto — Signore di Dulichio, ricordato da Ulisse nel racconto delle sue immaginarie avventure fatte ad Eumeo.
Achei — Il nome con cui sono più frequentemente designati i. Greci in Omero.
Acheleo — Fiume della Lidia che nasce dal monte Sipilo.

(continua... )

Acamante

Acamante.
Troiano, figlio di Antenore, valoroso guerriero, che vendicò la morte del fratello Archiloco ucciso da Aiace, colpendo mortalmente Promaco. E’ ricordato pure come uno dei condottieri dardatni. Con ogni probabilità deve essere identificato con un .Acamante ucciso da Merione, mentre cercava di salire sul cocchio per sfuggire all’impeto di Patroclio.
— Figlio di Asio, seguì il padre alla guerra di Troia. E’ ricordato fra i guerrieri che, al seguito di Asio, si lanciarono cogli scudi levati contro il muraglione dei Greci e furono respinti dai due Lapiti Polipete e Leonteo.
— Figlio di Eusoro, condottiero dei Traci, alleati dei Troiani. Fu ucciso in combattimento da Aiace Telamonio. Era rinomato per la sua grande velocità.
— Figlio di Teseo e di Fedra, fratello di Demofoonte. Partecipò alla guerra di Troia e fu tra gli eroi greci che si rinchiusero nel ventre del famoso cavallo costruito da Epeo.

Dafne

Dafne
Ninfa figlia del Dio fluviale Penèo (Tessaglia), viveva errando per boschi e valli e monti, paga di cacce e di canti. « Spesso », come narra Ovidio in uno dei più belli episodii delle sue Metamorfosi (I), « le disse il padre: — Figlia, tu mi devi un genero.
— Spesso le disse il padre: — Figlia, tu mi devi nipoti — ». Ma ella, respingendo come un delitto le faci nuziali, ottenne dal padre di rimanere fanciulla, èmula di Artèmide. E quando Èros (Amore), sdegnato contro Apollo che aveva irriso il suo potere, vibrò su lui uno degli strali d’oro dall’acuta punta splendente che generano nei cuori, degli Dei come degli uomini, l’amore (e in Dafne uno ne lanciò di quelli, ottusi e plumbei, che all’amore rendono insensibili i cuori), Apollo fu acceso da violenta passione, e inseguì la Ninfa per valli e per monti. Rapido era l’inseguitore, rapida la fuggitiva. Invano egli la pregò di ristare; invano le gridava: — Non nemico io t’inseguo! —; invano vantò la propria qualità di figlio di Zèus, di signore del canto e dell’arco, dei vaticinii e dell’arte medica.
La figlia di Penèo correva ansante
chiamando il padre suo dall’erma sponda.
Correva, e ad ora ad or le snelle gambe
le s’intricavan nella chioma bionda...
Rapido il re Apollo più l’incalza,
infiammato desìo, per lei predare...
«O padre, o padre », grida, «tu mi scampa ! ».
Chiama ella il padre suo con grida vane.
Così il D’ANNUNZIO, che, liberamente deducendo da Ovidio, nel poemetto L’Oleandro alla finzione ovidiana ne aggiunge una sua propria, imaginando che la trasmutazione di Dafne in alloro abbia generato una pianta nuova, cioè appunto l’oleandro, essendosi tutto il corpo della Ninfa mutato in alloro (le cui foglie sono simili a quelle dell’oleandro), ma essendo la rossa bocca di lei rimasta immutata: il rosso fiore dell’oleandro.

Il dolce crine è già novella fronda
intorno al viso che si trascolora.
La figlia di Penèo non è più bionda,
non è più ninfa e non è lauro ancora.
Sola è rossa la bocca gemebonda
che del novello aroma s’insapora.
Escon parole e lagrime odorate
dall’ultima doglianza. O fior d’estate,
prima rosa del lauro che s’infiora!

E così in Ovidio (come nel D’Annunzio) alla trasformazione segue il canto di Apollo, che a sé con-sacra l’albero e le sue fronde:
« Poi che mia non puoi essere, sarai
l’albero mio. Cinte di te saranno
la mia cetra, il mio arco e le mie chiome.
Tu i duci adornerai quando al trionfo
voci esultanti inneggeranno, e lunghi
cortei vedrà sfilare il Campidoglio...
E come sempre giovine è il mio capo
d’intonse chiome, anche tu sempre avrai
perpetuo l’onor delle tue fronde... ».
Così l’inno egli chiuse; e coi recenti
rami l’alloro gli annuiva, e parve
che, come capo, il vertice oscillasse.

Narciso come narcosi

Il mito greco di Narciso riguarda un determinato aspetto dell’esperienza umana, come dimostra la provenienza del nome stesso dal greco narcosis, che significa torpore. Il giovane Narciso scambiò la propria immagine riflessa nell’acqua per un’altra persona e quest’estensione speculare di se stesso attutì le sue percezioni fino a fare di lui il servomeccanismo della propria immagine estesa. Narciso era intorpidito. Si era conformato all’estensione di stesso divenendo così un circuito chiuso. […] Il senso di questo mito è che gli esseri umani sono soggetti all’immediato fascino di ogni estensione di sé, riprodotta in un materiale diverso da quello stesso di cui sono fatti. Fisiologicamente sono tante le ragioni per le quali un’estensione di noi stessi determina in noi uno stato di torpore. […] Studiosi di medicina come Selye e Jonas sostengono che tutte queste estensioni sono tentativi di conservare l’equilibrio. Essi le considerano “autoamputazioni” e ritengono che il corpo ricorra al potere o alla strategia amputativa quando la sua percezione non riesce a individuare o a evitare la causa dell’irritazione. Nella tensione fisica dovuta a un sovrastimolo di qualunque tipo, il sistema nervoso centrale, al fine di proteggersi, provvede strategicamente ad amputare o isolare l’organo, il senso o la funzione molesta. Il principio dell’amputazione come sollievo immediato alle tensioni del sistema nervoso centrale si applica facilmente alle origini di tutti i media di comunicazione, dalla parola al calcolatore. Fisiologicamente la parte più importante incombe al sistema nervoso centrale. Tutto ciò che minaccia le sue funzioni deve essere asportato o isolato. La funzione del corpo è di fare da cuscinetto tra il sistema nervoso centrale e le improvvise variazioni degli stimoli dell’ambiente fisico e sociale. Con l’avvento della tecnologia elettrica l’uomo estese, creò cioè al di fuori di se stesso, un modello vivente del sistema nervoso centrale.[…] Per contemplare, utilizzare o percepire qualsiasi estensione di noi stessi in forma tecnologica è necessario riceverla. E’ l’ininterrotta ricezione della nostra tecnologia nell’uso quotidiano che, nel rapporto con queste immagini di noi stessi, ci pone nella posizione narcisistica della coscienza subliminale e del torpore. Ricevendo continuamente tecnologie ci poniamo nei loro confronti come altrettanti servomeccanismi. Sul piano fisiologico, l’uomo è perpetuamente modificato dall’uso normale della tecnologia, o del proprio corpo esteso, e trova a sua volta modi sempre nuovi per modificarla.[…] Il principio del torpore entra in gioco nella tecnologia elettrica come in qualunque altra. Dobbiamo intorpidire il nostro sistema nervoso centrale ogni volta che viene esteso altrimenti moriremmo. Una volta intorpidito strategicamente il nostro sistema nervoso centrale i compiti della consapevolezza e dell’ordine sono affidati alla vita fisica dell’uomo, il quale di conseguenza ha per la prima volta compreso che la tecnologia è un’estensione del suo corpo. Ciò non sarebbe potuto accadere prima che l’era elettrica ci fornisse lo strumento di una consapevolezza immediata e totale, attraverso la quale è stata pienamente svelata la vita subliminale (personale e sociale).

[Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare]

Invocazione

Sei stata seminata da Cronos, concepita nel seno di Hera, preservata da ogni male per opera di Ammon, generata da Iside, nutrita da Zeus Pluvio, curata fino alla maturità da Helios e dalla rugiada. Tu sei la rugiada di tutti gli dèi, sei il cuore di Hermes, sei il seme degli dei antichi, sei l'occhio di Helios, sei la luce della Luna, sei la cenere di Osiride, sei la bellezza e il lampo luminoso del Cielo, sei l'anima del demone di Osiride, che va danzando in tutti i luoghi, sei il soffio vitale di Ammon. Come hai innalzato Osiride, allo stesso modo innalzati tu stessa e sorgi, come Helios che sorge ogni giorno. La tua altezza è uguale a quella di Helios allo zenit, le tue radici sono profonde quanto le radici dell'abisso, le tue forze sono nel cuore di Hermes, il tuo stelo e i tuoi rami sono le ossa di Mnévis, i tuoi fiori sono di Horus, il tuo seme è il seme di Pan. Io, io ti lavo da questa pece come lavo gli dèi: sia dunque anche tu purificata dalla mia preghiera per la mia salvezza, e dacci la tua forza come Ares e Atena. Io sono Hermes. Ti colgo con la Buona Fortuna, il Buon Genio, nell'ora fausta, nel giorno fausto, nel giorno in cui tutto deve riuscire. (Papiri Magici Greci - IV, 2978 ss.)

Inno a Pan (Iscrizione di Epidauro)

Inno a Pan (Iscrizione di Epidauro)

Pan che guida le ninfe, amico delle
Naiadi canto, il re delle danze auree,
del canto aereo. Egli dalla siringa
sonora effonde spirito purissimo
,
divino; quindi il vento leggero del
suo canto sospinge sotto gli antri il
suo demone versatile, ed è bello il
danzatore, bello il suo volto che
splende sotto la barba d'oro.
Sull'Olimpo stellante l'eco panica
vola, recando alle divine schiere un
canto immortale. La tua arte si
infonde nella terra, nel mare e tu
sorreggi il mondo o Pan, o grande
Pan!

INNO OMERICO AD AFRODITE

INNO OMERICO AD AFRODITE

In verità, il saggio Zeus rapì il biondo Ganimede

per la sua bellezza, affinché vivesse tra gli immortali

e nella dimora di Zeus versasse da bere agli dei

prodigio a vedersi, onorato da tutti gli immortali.

Attingendo il rosso nettare dal cratere d'oro.

Un dolore inconsolabile invase l'animo di Troo, che non sapeva

dove il turbine divino gli avesse rapito suo figlio:

da allora egli lo piangeva sempre, ininterrottamente.

E Zeus ebbe pietà di lui, e gli diede, in compenso del figlio,

cavalli dal rapido passo di quelli che portano gli immortali.

Questi gli diede perché li tenesse come dono, e ciò ch'era

Accaduto gli espose,

per mandato di Zeus, il messaggero uccisore di Argo:

che il figlio era immortale, e immune da vecchiezza, come gli dei

quando poi egli ebbe udito il messaggio di Zeus

smise di piangere, e si rallegrò nel suo animo:

e lieto si lasciava portare dai cavalli rapidi come la tempesta.

Inno Omerico a Dioniso

Inno Omerico a Dioniso

Omero, Inni omerici


Dioniso, figlio di Semele gloriosa

Io ricorderò: come egli apparve lungo la riva del limpido mare,

su di un promontorio sporgente, simile a un giovanetto

nella prima adolescenza; gli ondeggiavano intorno le belle chiome

scure; sulle spalle vigorose aveva un mantello

purpureo. E presto, nella solida nave,

apparvero veloci, sul cupo mare, pirati

tirreni: li portava la sorte funesta. Essi, al vederlo,

si scambiavano segni fra loro: rapidamente balzarono fuori, e subito

afferrandolo, lo deposero nella loro nave, pieni di gioia nel cuore.

Pensavano infatti ch’egli fosse figlio di re cari a Zeus,

e volevano legarlo con legami indissolubili:

ma i legami non riuscivano a tenerlo, e i vincoli cadevano lontano

dalle sue mani e dai piedi; egli se ne stava seduto e sorrideva,

con gli occhi scuri. Il timoniere, comprendendo,

subito esortò i suoi compagni, e disse:

“Amici, chi è questo dio possente che avete preso, e tentate di legare?

Nemmeno la nave ben costruita riesce a portarlo.

Certo, infatti, egli è Zeus, o Apollo dall’arco d’argento,

o Posidone: poichè non è simile agli uomini mortali,

ma agli dei che abitano le dimore dell’Olimpo.

Suvvia, lasciamolo andare sulla terra nera,

subito; e non mettete le mani su di lui, che egli, adirato,

non scateni venti furiosi, e grande tempesta”.

Così parlava, e il capo inveì contro di lui con parole di scherno:

“Sciagurato, bada al vento, e spiega con me la vela dellanave

Manovrando tutti i cavi: a costui penseranno gli uomini.

Io prevedo che egli verrà fino all’Egitto, o a Cipro,

o fra gl’Iperborei, o più lontano, ma infine

una buona volta ci rivelerà i suoi amici e tutte le ricchezze

e i suoi parenti; poichè un dio ce lo ha mandato”.

Così dicendo issava l’albero e la vela della nave;

il vento soffiò in piena vela, e i marinai, dai due lati,

tendevano i cavi. Ma ben presto apparvero loro fatti prodigiosi.

Dapprima, sulla veloce nave nera, gorgogliava

vino dolce a bersi, profumato, da cui si effondeva un aroma

soprannaturale: stupore prese tutti i marinai, quando lo videro.

Subito dopo si distesero lungo il bordo superiore della vela

Tralci di vite, da una parte all’altra, e ne pendevano abbondanti

Grappoli; intorno all’albero si avviticchiava una nera edera,

ricca di fiori, su cui crescevano amabili frutti;

e tutti gli scalmi erano inghirlandati. Essi allora, vedendo queste cose,

ordinavano al timoniere di guidare a terra la nave.

Ma il dio, sotto i loro occhi, nella nave, si trasformò in un leone

dallo sguardo pauroso e bieco: essi fuggirono a poppa

e intorno al timoniere dall’animo saggio

si fermarono attoniti: il dio, d’improvviso balzando,

ghermì il capo; e gli altri, evitando la sorte funesta,

come videro, si gettarono fuori tutti insieme, nel mare divino,

e diventarono delfini. Ma il dio ebbe pietà del timoniere:

lo trattenne, e gli concesse prospera sorte: e così gli disse:

“Coraggio, nobile vecchio, caro al mio cuore;

io sono Dioniso dagli alti clamori, che generò la madre

Semele, figlia di Cadmo, unendosi in amore con Zeus”.

Salve, o figlio di Semele dal bel volto: non è possibile,

per chi si dimentica di te, comporre un dolce canto.

OVIDIO, Fasti, Pan

OVIDIO, Fasti, Pan

Alla terza aurora dopo le Idi fanno la loro comparsa i nudi Luperici e si celebrano i riti in onore di Fauno bicorne. Ditemi, Pieridi, quale sia l’origine di questo rito, da quale paese esso è venuto prima di essere accolto dalle popolazioni del Lazio. Si racconta che gli antichi Arcadi adorassero Pan, dio delle greggi. Lui prediligeva le montagne dell’Arcadia: né è testimone il Foloe, ne sono testimoni le acque dello Stinfale, il Ladone che con la sua veloce corrente si dirige in direzione del mare, la foresta del Nonacre con le sue cime circondate di pini, l’alto Tricrene e le nevi della Parrasia. Pan in questi luoghi era il dio degli armenti, il dio delle cavalle, a Pan si recavano offerte per la protezione delle greggi. Evandro portò con se in esilio questo dio silvestre. Qui dove ora c’è l’Urbe, allora c’era solo l’area su cui sarebbe sorta la città. E’ per questo che veneriamo il dio con cerimonie importate dai Pelasgi. Ad esse, secondo l’antica usanza, partecipava il flamine Diale. Mi chiedi ora perché corrano e perché tolta la veste i loro corpi restino nudi? E’ il dio stesso che ama correre velocemente sulle cime delle montagne e che intraprende fughe improvvise. E’ il dio stesso che è nudo e che comanda ai suoi adepti di correre nudi; la veste del resto, non è certo adatta alla corsa.

INNI OMERICI, A PAN

INNI OMERICI, A PAN

O Musa celebra il figlio diletto di Ermes,

dal piede caprino, bicorne, amante del clamore, che per le valli

folte di alberi si aggira insieme con le ninfe avvezze alla danza:

esse amano calcare le cime delle impervie rupi

invocando Pan, il dio dei pascoli, dall’ abbondante chioma,

irsuto, che regna su tutte le alture nervose

e sulle vette dei monti, e sugli aspri sentieri.

Si aggira da ogni parte tra le folte macchie :

ora è attirato dai lenti ruscelli,

ora invece s’inerpica fra le rupi inaccessibili

salendo alla vetta più alta da cui si scorgono le greggi.

Spesso corre attraverso le grandi montagne biancheggianti,

spesso muove fra le colline, e fa strage di fiere,

scorgendole col suo sguardo acuto; talora, al tramonto, solitario

tornando dalla caccia, suona modulando con la siringa una musica

serena: non riuscirebbe a superarlo nella melodia

l’uccello che tra il fogliame della primavera ricca di fiori

effonde il suo lamento, e intona un canto dolce come il miele.

Con lui allora le ninfe montane dalla limpida voce

girando col rapido batter di piedi presso la sorgente dalla acque cupe

cantano, e l’eco geme intorno alla vetta del monte.

Il dio, movendo da una parte all’altra, talora al centro della danza,

la guida col rapido batter di piedi –sul dorso ha una fulva di pelle

di lince-, esaltandosi nell’animo al limpido canto,

sul molle prato dove il croco, e il giacinto

odoroso, fioriscono mescolandosi innumerevoli all’erba.

Cantano gli dei beati e il vasto Olimpo;

per esempio del rapido Ermes, eminente fra gli altri,

narravano: come egli sia messaggero veloce per tutti gli dei,

e come venne all’Arcadia ricca di fonti, madre di greggi,

là dove ha il suo santuario cillenio.

Colà, pur essendo un dio, pascolava le greggi dal ruvido vello

presso un mortale: poiché lo aveva preso, e fioriva in lui, un desiderio

struggente

di unirsi in amore con una fanciulla dalle belle trecce, figlia di Driope .

E ottenne il florido amplesso; ed ella, nelle sue stanze, generò

a Ermes un figlio diletto, già allora mostruoso a vedersi,

dal piede caprino, bicorne, vociante, dal dolce sorriso.

Diede un balzo e fuggì la nutrice, e abbandonò il fanciullo.

si spaventò, infatti, come vide quel volto ferino e barbuto.

Ma subito il rapido Ermes lo prese fra le braccia ,

accogliendolo: grandemente il dio gioiva nell’animo.

Senza indugio salì alle dimore degl’immortali, dopo aver avvolto il fanciullo

nella folta pelliccia di una lepre montana ;

lo depose al cospetto di Zeus e degli altri immortali,

e presentò suo figlio : si rallegrarono nell’animo tutti

gl’immortali, ma più d’ogni altro il baccheggiante Dioniso;

e lo chiamarono Pan, poiché a tutti l’animo aveva rallegrato.

Cosi ti saluto, signore, e ti rendo propizio col mio canto:

ed io mi ricorderò di te, e di un altro canto ancora.

Ambròsia

Ambròsia
Cibo degli dei, come il nettare ne era la bevanda; conservava loro l’immortalità e l’eterna giovinezza. Con tale nome OMERO chiama anche un unguento divino che aveva il potere di risanare le ferite. L’a. si trovava nell’orto delle Esperidi, ed erano le colombe a portarla in volo agli dei. Per alcuni autori, come ALCMANE e SAFFO, l’a. era bevanda e il nettare invece cibo.

Alséidi

Alséidi
Ninfe dei boschi, le quali talvolta spaventavano i viandanti che attraversavano le foreste (dal greco disos = bosco).

Amaltea

Amaltea
Nome della capra che al-lattò Zeus, quando ancora infante venne dalla madre Rea affidato alle cure delle ninfe Melissa o Ida e Adrastea, per sottrarlo alla voracità di Crono. Secondo una leggenda A. sarebbe stata la ninfa che fece allattare il nume da una capra.
OVIDIO (Fasti, V, 115 e segg.) e con lui altri autori posteriori, danno invece la seguente inter-pretazione del mito:
Si racconta che la Naiade Amaltea, che l’Ida di Creta rese famosa, occultasse Zeus nelle selve. Amaltea possedeva una bella capra, madre di due capretti, la quale costituiva l’ornamento delle mandre di Ditte (città dell’isota di Greta) per le superbe corna ricurve all’indietro, e per le mammelle, degne della nutrice di Zeus. La superba bestia allattava il dio, ma spezzatosi un corno urtando contro un albero, perse metà della sua bellezza.
Il corno fu raccolto dalla ninfa che, ornatolo con fresche erbe e colmatolo di frutta, lo porse a Zeus. Questi, quando divenne re del cielo e occupò il trono paterno e nessuno era piò potente di lui, pose la nutrice fra le costellazioni e rese fecondo il suo corno che, ancora oggi, porta il nome di chi ne ebbe ornata la fronte.

Amadriadi

Amadriadi
Ninfe delle foreste e dei boschi, la cui esistenza era legata alla vita delle piante, particolarmente a quella delle querce, con le quali esse nascevano e con le quali morivano, a differenza della Driadi, che erano immortali. Grate a chi risparmiava le piante, punivano severamente chi invece le abbatteva e le danneggiava, accorciando la loro vita.

Altémene

Altémene
Figlio di Catreo (o Cra-teo). Poiché l’oracolo aveva predetto al padre che sarebbe stato ucciso da uno dei suoi figli, A., unico maschio, dopo aver dato in moglie le proprie sorelle a principi stranieri, andò volontariamente in esilio per evitare che la predizione si avverasse. Ma Crateo, mal sopportando la lontananza del figlio, si imbarcò e parti alla sua ricerca. Nelle sue peregrinazioni approdò all’isola di Rodi, dove A. viveva, e qui fu ridotto in fin di vita da una freccia lanciatagli dal figlio che lo aveva scambiato per un nemico. Accortosi dell’errore, A., disperato, pregò gli dei affinché la terra gli si aprisse sotto i piedi e lo inghiottisse, e fu esaudito.

Altea

Altea
Figlia di Testio e di Euritemi, sposò Oeneo, re di Calidone, e da lui ebbe Tideo, Deianira e Meleagro. Quando quest’ultimo nacque, le Moirai posarono un tizzone acceso sul focolare di A., dicendo alla donna che il piccino sarebbe vissuto finché quel tizzone non si fosse consumato. La madre si affrettò a togliere dalle fiamme il pezzo di legno acceso, e, dopo averlo spento, lo custodi gelosamente. Meleagro era già giovinetto quando, un giorno, si dimenticò di sacrificare ad Artemide (altri dicono che sia stato il padre a trascurare il sacrificio) e la dea, indispettita, inviò in Calidonia un enorme e selvaggio cinghiale che prese a devastare il paese.
Alcuni principi greci, e fra questi Meleagro e i suoi zii materni, si accordarono per uccidere il cinghiale. Una giovinetta, Atalanta, fu la prima a colpire la fiera, e perciò a lei Meleagro offri la pelle e la testa del cinghiale ucciso. Di ciò si offesero i fratelli di A.; ne nacque una lite, e Meleagro, in un impeto di ira, uccise gli zii. A. quando conobbe la tragica fine dei suoi fratelli, fu colta da disperazione, e dopo una lunga e dolorosa lotta interna fra l’amore materno e il desiderio di vendicare i propri congiunti, gettò sul fuoco il fatale tizzone al quale era legato il destino del figlio, e lasciò che vi si consumasse. Più tardi A., lacerata dal rimorso, si uccise.

Anteros

Anteros
Dio dell’amore reciproco, figlio di Ares e di Afrodite. Alcuni autori considerano A. il dio che si oppone agli amori contro natura, altri il vendicatore dell’amore disprezzato, altri infine il dio dell’amore volubile. Aveva altari in molte città della Grecia.

Anticlea

Anticlea
Figlia di Autolico, moglie di Laerte e madre di Ulisse. Parecchi autori con-cordano però nell’affermare che padre di Ulisse fu Sisifo figlio di Eolo, il quale, adirato per i con-tinui furti di bestiame operati da Autolico, ne violentò la figlia mandandola sposa già incinta di Ulisse a Laerte. Secondo alcuni A. si uccise quando le pervenne la falsa notizia della morte del figlio;
secondo OMERO (Odissea, XI, 261-264) invece mori di dolore:
ma il desio di vederti, ma l’affanno
della tua lontananza, ma i gentili
modi e costumi tuoi, nobile Ulisse,
la vita un di si dolce hannomi tolta.

Antifate

Antifate
Re dei Lestrigoni, giganti antropofagi di cui parla OMERO (Odissea, X). Divorò uno dei compagni di Ulisse e, con l’aiuto dei suoi sudditi, fece affondare molte navi della flotta dell’eroe, colpendole con enormi massi.

Antestérie

Antestérie
Feste ateniesi in onore di Dioniso e dei morti, che si celebravano nei giorni i 11, 12 e 13 del mese di Antesterione (febbraio-marzo). Nel primo giorno si aprivano le botti del vino; nel se-condo si faceva a gara a chi ne beveva di più, e il vincitore era incoronato di edera; il terzo giorno era dedicato a gite in campagna, e si esponevano pentole colme di legumi che dovevano servir di cibo alle anime dei defunti, le quali, secondo la credenza, vagavano quel giorno sulla terra. Durante il periodo delle A. erano i padroni a servire gli schiavi.

Antigone

Antigone
Figlia di Edipo e di Giocasta. Creatura dolcissima nella sua pietà filiale e nello spirito di sacrificio costantemente celebrato dal mito che di lei parla. Accompagnò il padre cieco e mendico fino a Colono e tornata poi con Ismene a Tebe, nonostante la proibizione di Creon-te, re di Tebe e suo zio, volle dare sepoltura al cadavere del fratello Polinice.
Condannata per la sua disobbedienza ad essere sepolta viva preferi strangolarsi. Fu amata da Emone. Altri nar-rano che Creonte aveva ordinato ad Emone di eseguire la condanna a morte di A., ma il giovane, che l’amava da molto tempo, la fece nascondere presso alcuni pastori, ed in seguito ebbe da lei un figlio (Meone od Eone), il quale, cresciuto in età, si distinse nei pubblici giochi. In tale occasione Creonte rintracciò A. e la fece seppellire viva, ed Emone, per il dolore, si uccise sulla tomba di lei.
SOFOCLE: Antigone; Edipo a cotono; STAZIO: Tebaide, XII; SENECA: Le
Fenicie; L. ALEMANNI: Antigone; P. METASTASIO: Antigone; v. ALFIERI:
Antigone; Polinice; G. CARDUCCI: Odi barbare: Presso l’urna di Percy
Bysshe Shelley .

Antiloco

Antiloco
Figlio di Nestore e di Euri-dice, era amico affezionatissimo di Achille, oltreché valoroso guerriero ed atleta. Fu ucciso da Memnone nell’eroico tentativo di salvare il padre. Ebbe sepoltura sotto lo stesso tumulo con Achille e Patroclo.
OMERO: Iliade, Iv, Xv, xvii, xvii, xxii.

Ànnio o Ànio

Ànnio o Ànio
Re di Delo e gran sacerdote di Apollo. Aveva quattro figlie alle quali Dioniso aveva accordato il potere di mutare in vino, biada e olio tutto ciò che toccavano, e, rac-conta OVIDIO Metamorfosi, XIII, 654-674):
quel dono le arricchiva. Ma quando ciò seppe l’Atride distruttore di Troia, strappò dal grembo del padre le figlie che malvolentieri lo seguirono, e comandò loro che nutrissero l’esercito greco con il dono celeste. Fugge ognuna dove può; due ncll’Eubea, le altre presso il fratello Andro. Il nemico le raggiunge e minaccia la guerra se non si restituiscono le fanciulle. La paura vince la pietà, e il fratello abbandona le sorelle, ma gli si può perdonare per il suo terrore: non c’erano né Enea né Ettore che potessero difendere Andro. Ormai le catene erano pronte per loro. Esse, alzando le braccia ancora libere al cielo: «Aiuto, padre Dioniso! >, dissero, e il benefattore concesse il suo aiuto, se può considerarsi aiuto l’uccidere in strana maniera. Non si è mai saputo come perdessero la forma umana, è nota sol-anto la loro grande sventura: presero le penne e divennero bianche colombe.

Anigridi

Anigridi
Ninfe che abitavano presso il fiume Anigro, nell’Elide. Avevano il potere di conferire proprietà terapeutiche alle acque del fiume, che erano state infettate dai Centauri, dopo che questi vi avevano lavato le ferite ricevute dalle frecce avvelenate di Eracle.